La Puglia non può certo dirsi una terra di vini bianchi: per cultura e tradizione è stata sempre quasi totalmente orientata alla produzione di vini rossi. La storia passata e presente ci parla sempre in rosso e se proprio si vuole in rosato. Di bianchi significativi, salvo qualche rarissima eccezione, non v’è traccia, se poi parliamo di bianchi capaci di esprimersi dopo anni, allora la cosa diventa ancora più difficile, se non impossibile.
S’è provato di tutto, dai vitigni internazionali a quelli più tradizionali andando a recuperare a volte anche vitigni in via d’estinzione, cosa di per sé meritoria, ma non sufficiente.
Negli ultimi decenni tuttavia si è delineata con sempre più chiarezza la tendenza ad utilizzare prevalentemente tre vitigni: Falanghina, Verdeca o Pampanuto (comunque lo si voglia chiamare) e il Fiano. Proprio quest’ultima varietà è particolarmente diffusa in tutta la regione, tanto che qualche anno fa si parlò di una DOC regionale ad esso dedicato. Parliamo sempre di produzioni orientate ad un consumo se non immediato, di vini destinati a sopravvivere 2-3 anni al massimo. Appaiono in modo sporadico bottiglie invecchiate, vini per lo più dimenticati nelle cantine, che mostrano a volte un potenziale che raramente viene poi utilizzato per la produzione di vini longevi. Mosche bianche che tuttavia danno dimostrazione di un potenziale ancora inespresso.
E’ un vero peccato perché i tempi sembrano maturi per un salto di qualità. Ovviamente non può essere semplicemente un atto di buona volontà, ma un cambiamento complesso a partire dalla gestione del vigneto per terminare in cantina.
Un percorso seguito da Sergio Lucio Grasso della Cantina La Marchesa con vigneti nell’agro di Lucera . Il fatto che Sergio abbia conservato bottiglie del suo Fiano , Il Capriccio della Marchesa, rivela che in questo vino e sulla sua longevità, ci ha ceduto e continua a crederci. All’inizio non so quanto consapevolmente, ma poi deve essersi reso conto che era sulla strada giusta ed ha continuato.
Così ha proposto le annate 2013-2014-2015 (giusto per saggiarne la capacità di invecchiamento) e la più recente 2021
Fiano Daunia IGT Il Capriccio della Marchesa 2021
Paglierino. Naso dominato da frutto giallo,pesca, susina, con qualche accenno vegetale che ricorda fiori di campo e spezie dolci in evidenza. Palato fresco, con ritorni di agrumi e decise sensazioni speziate ancora da assorbire. Finale di buona lunghezza
Il Capriccio della Marchesa 2015
Paglierino con riflessi dorati, Naso intenso con richiami fruttati maturi che richiamano pesca e pera con cenni di fiori gialli che ricordano ginestra e spezierdolci. In bocca è fresco con ritorni fruttati e sensazioni di vaniglia che accompagnano un finale di buona lunghezza. Siamo decisamente in una fase intermedia, dove il legno fa sentire la sua presenza con piacevole evidenza.
Il Capriccio della Marchesa 2014
Dieci anni portati bene, certo con maturità ma anche con sorprendente freschezza e un legno perfettamente assorbito. Paglierino con riflessi dorati intensi. Naso con note mature di agrumi canditi, fiori di tiglio, spezie dolci. Bocca ancora fresca, piena, essenziale, con ritorni di frutta matura, miele di acacia e cedro candito. Persistente. Tanto più sorprendente pensando che la vendemmia del 2014 è stata una annata molto, molto difficile.
Il Capriccio della Marchesa 2013
Andando ancora indietro si ha consapevolezza della bontà del lavoro fatto. Qui il legno ha dato tutto quello che poteva dare aumentando la complessità e mimetizzandosi in un frutto maturo rappresentato, da albicocca, pesca, canditi, con sfumature floreali di camomilla, frutta secca e un accenno di pietra focaia. Palato elegante, sorprendentemente fresco e sapido, morbido e persistente.
Sarà interessante seguirne l’ulteriore evoluzione per determinarne l’ulteriore e impensabile longevità.